DAL 26 OTTOBRE AL 15 DICEMBRE 2016
ALLA GALLERIA MATTEO LAMPERTICO
LA PERSONALE DI
GIANNI ASDRUBALI, ASSOLO
LA NASCITA DELLO SPAZIO IN UN QUADRO
Testo critico di Bruno Corà

gianni asdrubali

ASSOLO

Galleria Lampertico
Milano, 2016

Per le ore 18,30 del 25 ottobre 2016 è annunciata una insolita iniziativa nella galleria Lampertico di Milano, dove ha luogo la mostra personale di Gianni Asdrubali. È l'apertura dell'evento con performance dell'artista e Matteo Lampertico mi invita a dire poche parole sul lavoro di Asdrubali. Lo faccio convinto che lui lo gradisca non senza considerare il rischio di parlare in pubblico, davanti alle opere, tradizionalmente discutibile o addirittura inopportuno. Parto evocando concetti e aspetti già individuati in occasione di alcune mie precedenti riflessioni, soprattutto incentrate nelle più recenti analisi del lavoro pittorico di Asdrubali. Sono presenti numerose persone interessate a vario titolo all'opera del pittore. Chiudo rapidamente il mio intervento sollecitando i presenti a tener d'occhio il bianco residuale nelle tele dipinte da Asdrubali, cioè quel che appare come vuoto, e insisto sulla sfericità del suo spazio pittorico, sull'infinito del suo processo significativo, senza soluzione di continuità. Una breve pausa consente ad Asdrubali di preparare un colore, il nero, per elaborare una superficie pronta all'uso. Ma mi accorgo che su alcuni cavalletti Asdrubali ha steso una seconda superficie, la quale sembra avere la funzione di piano d'appoggio alla tavola preparata. Già in altra circostanza avevo avuto la sensazione che egli, quando lavora, fosse come il torero con il toro in una corrida. E non mi sono sbagliato. Asdrubali irrompe nell'arena della sala con il barattolo del nero in mano e un pennello che impugna più come un coltello che non nell'uso canonico. Con gesto deciso ma misurato sposta due, tre volte sul piano d'appoggio il supporto messo in orizzontale cercando una posizione idonea all'inizio del rito. Gira attorno al supporto, lo studia, lo tira un po' verso di sé. Poi partono alcune 'pugnalate' col pennello, sferrate con un'intensità, una rapidità e un'energia visibilmente incisiva sul corpo del supporto. L'inizio considera una zona angolare della superficie.

Il pubblico è piombato in un silenzio assoluto, lasciando percepire lo stridio delle setole e dell'acrilico steso da Aasdrubali sulla superficie. È iniziata la corrida. Gli occhi dei presenti, alla stregua di quelli dell'iniziato raffigurato nel dipinto del rito orfico della Villa dei Misteri a Pompei, sono aperti e pieni di attesa e stupore. Non è il dripping e la 'danza' di Pollock ciò a cui si assiste, ma qualcosa di diversamente flessuoso e assai più cruento: un corpo a corpo che procede con fendenti e pause durante le quali Asdrubali scosta il supporto dalla sua posizione primaria cercando nuove traiettorie da cui operare. Si è visto che nello stendere il colore sulla superficie con il gesto con cui si impugna un'arma, Asdrubali continua a eseguire le tracce anche oltre la superficie, sul foglio di legno bianco che funge da sostegno sottostante. L'azione continua con pause durante le quali Asdrubali, come se fosse in totale solitudine, esegue gesti nell'aria che anticipano i gesti e le azioni successive, quasi a simulare ciò che dopo qualche istante si decide a compiere sul supporto mediante il colore.

La 'corrida' è implacabile: Asdrubali ruota con una mano - vestita da un guanto di caucciù che tuttavia lascia incurante alcune tracce di nero - il supporto già elaborato in alcune parti mentre ancora altre restano intoccate. Ma poi si porta su queste e traccia segni lunghi che sbordano dal supporto sulla tavola sottostante su cui pure si accanisce tracciando proiezioni che arrivano al suo bordo e anche fuori di esso. Alcuni schizzi di colore arrivano sul pavimento, vicino alle scarpe degli astanti che si ritraggono. Sembra di assistere a una lenta agonia del supporto e a un'altrettanto esaltante ed eccitante 'scherma' che suscita l'emergere di una stupefacente entità prima inesistente e imprevista. Ancora brevi e lunghi momenti di posizionamento del supporto già in parte investito dal colore. Asdrubali cerca un fianco dopo l'altro del supporto, per colpirlo e dal quale – ormai è chiaro – vuole liberare lo spazio, vuole estrarre l'anima, non dopo aver fatto esalare l'ultimo respiro al corpo resistente, taurino, del supporto sotto i suoi gesti, e i fendenti di quel pennello di cui ormai restano scompigliati ciuffi di setole.

Asdrubali ha una respirazione alterata ed estatica mentre osserva dall'alto il supporto alle sue ginocchia, ne preavverte la 'resa', sferra ancora alcuni decisivi 'colpi' che tracciano e ricalcano zone già dipinte saturandone altre, senza interrompere l'azione al di fuori del supporto, sul sostegno, che ormai è anch'esso pieno di tracce, di traiettorie di 'fughe' ed 'entrate' nella stupefacente superficie giunta a un equilibrio che custodisce uno spazio radioso. A questo punto si ferma. E' inutile infierire su un corpo vinto. L'azione pittorica è giunta al termine. Asdrubali si china sulla spoglia dominata di una superficie resistente come sulla forza priva di pensiero dell'animale o del demone che nel soccombere libera lo spazio. Il dipinto - come tutta la sua liturgia – è compiuto. Lo lascia riposare pochi minuti perché l'acrilico non formi alcuno sgocciolamento, poi lo erge in verticale contro la parete. Una spontanea ovazione libera la tensione ancora forte nel cerchio dei numerosi presenti. Olé!

Bruno Corà

Milano, 26 ottobre 2016

Gianni Asdrubali. La curva della pittura
Testo critico di Bruno Corà
Artefiera Bologna, 29 Gennaio - 1 Febbraio 2016
Galleria Lampertico, Milano

Gianni Asdrubali

ZEIMEKKE

Pittura industriale su forex
480 X 180 cm
Anno 2016

Davanti ai miei occhi, con rapidi spostamenti, Gianni Asdrubali ha collocato sulla parete dello studio i suoi più recenti dipinti, avvicinandoli tra loro a formare dittici, trittici o insiemi più numerosi che, sorprendentemente, mostrano di concatenarsi senza soluzione di continuità uno con l'altro, nonostante siano stati realizzati separatamente e senza alcun preordinato disegno di organicità.

Ma la ragione della loro felice e sempre possibile armoniosa contiguità risiede in una interna dote di quelle pitture che pur ostentando una frontalità della stesura di superficie, essa, per effetto di una congenita adimensionalità, deve essere percepita come sferica, dunque una frontalità infinitamente profonda.Come in una geometria frattale, come per le nuvole, ciò che rende conseguenti queste opere è dunque un essenza di limite curvo, ai cui bordi non definiti - poiché quelli della tela devono essere immaginati superati proprio dalla tela successiva, che può essergli affiancata come per prodigio - si colloca l'azione sempre possibile di Asdrubali. È in questo senso che quelli della tela devono essere considerati bordi dell’incidentalità circostanziale, quotidiana, cioè quella che deriva dall'impossibilità di dipingere una tela realmente illimitata. E tuttavia, ogni tela è pensata come tale. Peraltro, come lo sono tutte le opere concepite nel comune denominatore della spazialità, che - come si sa - è sferica, adimensionale, indescrivibile a parole.

Da questa prima osservazione si deve prendere atto che la pittura di Asdrubali è certamente tutta frontalmente davanti agli occhi di chi la osserva, ma per ‘vederla’ realmente bisogna che lo sguardo vi penetri con un’ideale ‘capriola’, entrando e uscendo dalla sua sferica spazialità, attraverso la soglia già predisposta e varcata per primo da Asdrubali stesso, con la liturgia pittorica, dell'azione e negazione simultanea necessaria a farla venire alla luce. Se si è percepito l'esito spaziale di questo processo ideativo e realizzativo della pittura di Asdrubali, si può avanzare nell'osservazione degli elementi posti da lui in azione, non meno interessanti ai fini di conoscere alcuni principi generativi dell'opera o delle modalità del suo lavoro. In questo nuovo ciclo di pitture realizzate nel corso del 2015 e denominate da Asdrubali Zeimekke, infatti, egli si cimenta con quei principi che già gli avevano consentito di provvedere alla realizzazione di precedenti opere. Anzitutto il principio poetico, motore di ogni impresa: la mancanza; intesa, questa, come ciò di cui si è privi o che si desidera al fine di placare una privazione. Il vuoto che essa suscita nel pensiero e nei sentimenti ha un effetto stimolante e un corrispettivo materiale nel vuoto fisico che - come è noto - e pieno di una vita invisibile, ma non per questo inesistente. Ciò che si percepisce come assenza di materia in realtà non lo è, e quell’assenza è proprio ciò su cui si impegna l'azione trasformativa e di sensibilizzazione di Asdrubali. Vuoto, dunque, come dinamo e motore per la creazione dello spazio che, considerato quale esito il risultato dell'azione di qualificazione artistica, non è dato a priori ma si consegue nell'opera. Se la mancanza induce all'azione per colmarla, essa è altresì generatrice della tensione necessaria allo scopo.

Sugli aspetti di tale energia in arte si può affermare che la tensione ha assunto differenti modalità per manifestarsi. Si comprende ad esempio che da un artista all'altro essa è stata visualizzata in forme diverse. Molti componenti del gruppo Gutai, da Joshihara a Shiraga, esprimono gesti brevi, risoluti e frutto di concentrazione e meditazione; i gesti recano in piena sintesi una traccia di colore sul supporto, dove si evidenzia la tensione che si è scaricata. Analogamente avviene nei gesti di Mathieu. In Pollock la tensione ha una continuità temporale e un'oscillazione. In Vedova la tensione appare intermittente, in Castellani essa si risolve nel progetto e si trasferisce nella superficie mediante una strutturazione a base di intro- ed estroflessioni. In Fontana, impegnato nei Concetti spaziali - Attese, il gesto del taglio è netto, singolo o ripetuto dopo aver consumato tutta la concentrazione. In Asdrubali, soprattutto nel ciclo di pitture Zeimekke, la tensione continua, ma il gesto è segmentato, come i segni a pittura acrilica che tracciano sulla tela i diversi tipi di rete nervosa. Si devono peraltro osservare e distinguere diversi tipi di tracciato; sulla tela preparata in bianco, Asdrubali stende un reticolo nero e sul nero un ulteriore reticolo bianco molto diluito al punto che gran parte di essa lascia trasparire il nero sottostante. Alla fine la pittura presenta al proprio interno delle zone integre di superficie priva di interventi che appaiono come monadi negative, cioè bianche, veri spazi considerati in primo piano sulla superficie o, se si vuole, come più profondi. ‘Azione e negazione’, ‘forma e antiforma’ si equivalgono entro il limite dell'opera.

Questi dipinti, come tutti gli altri realizzati con il blu o con il rosso, si dimostrano ‘aperti’ sui quattro lati e interpretano il limite che tuttavia non rappresentano, essendo essi stessi limite esemplare del processo pittorico. Asdrubali agisce con rapidità e la velocità impiegata urta con il vuoto, suscitandolo a manifestarsi. La tensione recata dal gesto è multiversa e, stabilite le debite differenze, quella del gesto pittorico di Asdrubali sembra avere direzioni di forze analoghe a quelle di alcune opere di Scarpitta, le quali tuttavia hanno un coefficiente di tipo plastico assai elevato. Come in Scarpitta, una medesima plasticità si rivela in Anselmo, in opere a base di tensione come ad esempio Torsione. Nelle superfici delle Zeimekke, dipinte in rosso e in blu, in ogni tracciato del colore si distinguono zone di diversa intensità e saturazione cromatica, dovuti al gesto che al contempo stende e asporta il colore a causa della tensione e della rapidità. Le zone di minore intensità cromatica, quelle cioè dove l'acrilico è stato steso e sottratto, si rendono dialettiche con quelle parti ‘vuote’ da segni e da colore che occhieggiano e contribuiscono alla frontalità dell'intera pittura. Gli esiti delle Zeimekke in rosso appaiono particolarmente efficaci, in essi serpeggia perfino una prismaticità nella sfericità di fondo dei tracciati sulla tela. In breve, Asdrubali ‘avvita’ in modo sempre più serrato le sue stesure pittoriche, dimostrando di essere in possesso di una concezione idonea a costruire con immediatezza l'impalcatura spaziale dei suoi lavori, un lessico distintivo atto a formulare le proprie immagini e alcuni principi generatori capaci di favorirne altre epifanie. Ciò che afferma in gradi sempre più autorevoli il pronunciamento della sua pittura e la sua assidua frequentazione è un'identificazione totale con essa che lo rende sempre più affiancato dalla soggezione che produce in altri. Al punto da consentirgli di affermare che qualunque sia il supporto ricettivo delle proprie ‘tensioni’ - una tela, il muro, una ceramica - il risultato deve essere sempre il loro annullamento. S’intende, per l'affermazione di una pura valenza di spazio. Egli poi incalza: «Pure la pittura è solo strumentale, non ha importanza in sè».1 Intendendo che al fondo è l'arte la quintessenza immateriale ambita che interessa l'artista, essenza che si acquisisce mediante l'elaborazione dell'opera. Per concludere, con audace perentorietà, infine dichiara: «La pittura inizia laddove io non dipingo»2, e questa, nel suo lavoro, è la chiave che resta valida dall'inizio sino ad oggi.

Gianni Asdrubali: frontalità spaziale ricavata dal vuoto
Testo critico di Bruno Corà
Progetto e ricerca di Pamela Ferri
in 'Spazio Frontale', Nuova Prearo Editore, Milano
Anno 2005

Ancor prima di porre attenzione alle più recenti creazioni di Gianni Asdrubali e all'incontro con l'elaborazione ambientale che ne attua Pamela Ferri, sua diretta partner nello sviluppo di progettualità architettonica suscitata dalle opere pittoriche, si rende necessario, al fine di valutare la coerenza del nuovo procedimento, una riflessione sintetica ma a tutto campo del suo linguaggio.

Com'è noto, nei dipinti di Gianni Asdrubali, una volta resasi manifesta e esauritasi la scarica di energia che ha determinato lo spazio dell'immagine, è impossibile stabilire gerarchia alcuna fra le parti della superficie occupata dai segni, dal colore e dalle forme e quella restata intatta, cioè priva di evento invadente. Si tratta di immagini sostenute dall'antinomia dei rapporti tra vuoto e pieno, in cui non è possibile però non accorgersi che i due stati della superficie nello scontro di valenze non prevalgono l'uno sull'altro, ma consistono e desistono nell'ambizione di voler esercitare una valenza prevalente.

gianni asdrubali zunta 2004

ZUNTA

Pittura industriale su tela
160 X 180 cm
Anno 2004

Quando Asdrubali parla di SPAZIO FRONTALE a proposito del suo lavoro, vuol dire che le forze interne alle antitesi espresse dal gesto, dal colore, dal segno, dalla forma si integrano e annullano nella percezione che ognuno ha dell'intera spazialità. Ogni segno è esterno e interno delle parti di superficie coinvolte nell'energia distributrice del gesto.

Nella 'corrida' in cui Asdrubali chiama a sé lo spazio con la pittura, estraendolo dal vuoto con continue provocazioni e gesti afunzionali ma efficaci, con attese e attacchi, con impreviste pause dei movimenti e ritorni all'azione, proteso tra l'energia che lo spazio richiede ed emana venendo in superficie, allo scoperto, e il vortice negativo che esso configura e distingue continuando tuttavia a trarlo a sé, il 'toro' è l'informe dal cui sacrificio nasce l'opera. L'inizio, effettivamente terribile, di una tale nascita reca in sé l'entità sublime che la rende evento fausto quanto drammaticamente arcano.

Ma è il caso di iniziare da ACIDAMENTE, 1980. Dopo la liturgia sviluppata apponendo sigilli al vuoto ambientale e poi togliendoli per il rito della venuta alla luce dello spazio, nel 1980, nel ciclo Acidamente, Asdrubali affronta l'urtoviolento e lacerante della nozione di caos, catastrofico, ma anche di nascita di uno spazio dalla definizione dei limiti; e i limiti sono sempre ambigui poiché definiscono l'interno e l'esterno di un'entità, lo spazio, che non ha dimensioni se non nell'ente dell'opera. Il gruppo di lavori ACIDAMENTE(1980-83) è costituito di grandi tele dipinte con smalti e acrilici dai colori bianchi e neri, talvolta attraversati da vene gialle che il nero tuttavia trattiene nervosamente in sé. Autentico viaggio nel vuoto della tela, Asdrubali, con segni discontinui, irradiati in direzioni multiple, entra ed esce da continue deflagrazioni di un tessuto cromatico elementare, esito delle sue prime fasi alchemiche da cui il big bang dell’origine genera i primi drammatici e ardui profili sfibrati di un ovunque che il segno X di ACIDAMENTE IN VOLO, 1983 annuncia come impraticabile crocevia del vuoto. A questo 'buco nero', orizzonte di una nuova modalità di concepire lo spazio, si deve immaginare orientata tutta la successiva azione di Asdrubali. Sfuggenti, le lingue e le ciglia dei segni raccolti in flussi si protendono in quell'ovunque del vuoto da cui pretendono di trarre l'energia che crei lo spazio vibrante nell'opera. Lavori difficili da osservare senza esserne drammaticamente coinvolti. La nascita di una spazialità, in quanto rivelazione di un'origine, ha un potenziale fortemente attraente e sublime, ma come tale anche terrifico. Negli appunti di quegli anni Asdrubali annota:

“In bilico tra astrazione e figurazione appare e scatta la "X" e quell'equilibrio fortemente precario, distorto e in tensione incastra le due lettere una sull'altra nell'unicità instabile e informe della "X"(Yazoo)”.

Già negli stessi anni, tuttavia, non senza un considerevole salto di aspetto morfologico, l'avventura di estrazione dal vuoto di un'energia spazio-genetica capace di visualizzare l'instabilità universale mediante l'equilibrio apparente dell'immagine, continua nel ciclo AGGROBLANDA (1983-84). Questi acrilici su tela esibiscono quantità opposte di pieno e vuoto, scaturite dall'amministrazione sensibile quanto automatica del colore nero coprente, nonché del bianco residuo della tela intoccata. In essi si manifesta per la prima volta, come aura che circonda e separa il nero dal bianco, una zona cromaticamente scarica, ottenuta sicuramente con un vettore asciutto, che a lungo - da AGGROBLANDA a ZOIDE - accompagnerà tutte le apparizioni spaziali nell'opera di Asdrubali.

In questi anni egli legittima anche quella nomenclatura-titolo che designa i vari passaggi di configurazione spaziale. Tali nomenclature, a ben considerare, costituiscono l'originale, adeguato e congruo sistema di individuazione di qualità spaziali ignote che nell'opera si manifestano, non senza enigmaticità. Appare giustificata ed efficace, perciò, l'assenza di qualsiasi significato nelle nomenclature-titolo dei cicli d'opera, ricavando attorno alla realtà irriducibile di quest'ultima tutta la dimensione di incognito che essa pur visualizza. Afferma Asdrubali:

“Il problema più concreto oggi è quello dell’esistenza di un’immagine nuovamente complessa, sulla quale si incentra il problema della pittura. Questa immagine elude e si distacca da tutto il lamento delle indagini che circondano il nostro mondo (…) Si tratta di un’immagine differente e non conosciuta, che per avallare la sua esistenza ha bisogno di una nuova espressione”

La vorticosa spazialità manifestatasi nel ciclo AGGROBLANDA attraverso le declinazioni STREGOLA,1984, TRASCIADA, 1985 e BESTIA, 1986, mutando le fluidità curve contenute nelle immagini emerse da quelle opere nel paradigma di forze e forme angolari, giunge all'osmotica morfologia dell'AGGANCIO, 1986. Le opere recanti questo nuovo titolo evidenziano un'articolazione segnica di colore e forma che enuncia una spazialità in presenza di forze che comprimono da ogni lato il vuoto. L'immagine appare compatta e l'energia che visualizza si concentra nelle molteplici angolarità di cui è formata. Quella stessa energia sembra trovare una nuova composizione di forze nel NEMICO, 1987, in cui appare una concatenazione di segni antinomici bianco/neri tutti impegnati a estrarre dal vuoto un nuovo coefficiente di spazialità ad andamento curvo-spezzato. Esiti come quelli raggiunti da Asdrubali con le opere NEMICO, 1987 rievocano formalmente la dinamicità spaziale del Vedova del Campo di concentramento, 1950 e del Trittico delle libertà, 1950, entrambe opere tuttavia protese entro un tracciato poetico-ideologico del tutto deliberatamente estraneo e assente in Asdrubali. Ma non appaia forzato il confronto che si è voluto stabilire, poiché in realtà esso più profondamente apre una domanda sul retaggio del dinamismo pittorico-plastico boccioniano su diverse personalità del XX secolo tra loro assai diverse e che potrebbe, in modi specifici, riguardare non solo Fontana e Vedova, ma anche Scarpitta e Zorio e infine Asdrubali stesso.

Ciò che appare interessante, è cogliere in cosa e dove un artista come Asdrubali, che matura il proprio lessico negli anni Ottanta, insidiati dal riflusso linguistico e dal cosiddetto 'nomadismo' citazionista, si diversifica e distacca da ogni ipotesi postmoderna per coniugare il proprio lavoro a quello dei pionieri della nuova spazialità nel XX secolo. Ebbene, il primo aspetto di cui dover tenere conto è l'enunciazione di vuoto, spazio ed energia che Asdrubali coniuga con intenzioni e suggestioni ben determinate: le valenze che ad essi affida Asdrubali non si possono ignorare nel 'leggere' le sue immagini e le sue opere, altrimenti si incorrerebbe nell'errore di considerare un CONCETTO SPAZIALE d Fontana come un banale foro nella tela. Ma è tanto reale la portata del 'buco' di Fontana, quanto lo è la considerazione del 'vuoto' come LIMITE DINAMICO nella creazione di quello che Asdrubali definisce lo SPAZIO FRONTALE ADIMENSIONALE.

gianni asdrubali Zunta

ZUNTA

Zunta installata in spazio quotidiano
320 X 180 cm
Anno 2004

D’altra parte, oltre che Fontana, alle spalle di Asdrubali esistono le esperienze di Yves Klein relative all’”immaterialità”, ma anche alla realtà definita in numerose opere rivolte al vîde ereditato dalle culture orientali e dall’attrazione agorafobia esercitata su di lui dal cielo e dal mare blu di Nizza! Per opere come ACIDAMENTE PESANTE, 1982 e ACIDAMENTE IN VOLO, 1983, concepite da Asdrubali quasi agli esordi del suo lavoro, si potrebbero invocare i segni e gli accenti di Henri Michaux che nel poema in prosa L'espace aux ombres scrive: "Lo spazio, ma voi non potete concepire, quell'orribile in dentro-in fuori che è il vero spazio...". Se, dunque, questa tensione che Asdrubali spende per restituire all'opera la sua animalità spaziale ne distingue per velocità, originalità e assiduità l'impresa tra molte altre, nondimeno va considerata l'interessante metamorfosi del principio costruttivo e organizzativo dell'immagine cavata dal vuoto come l'atto michelangiolesco cavava dal pieno. L'equivalenza vuoto-pieno nell'immagine costruita da Asdrubali diviene ineludibile nei cicli EROICA, 1988, in cui la bicromia del bianco e nero prima e in seguito, le immissioni del bianco, del giallo, del rosso e dell'ocra nei campi occupati dal nero, che pur suggeriscono ad Asdrubali la nomenclatura ANDABATA, 1998, risultano dalle spazialità dinamicamente equilibrate. L'effetto di queste opere è lo stato simultaneamente dinamico-statico.

Prima di raggiungere l'organicità oggettiva del TROMBOLOIDE, 1995, duttile nella spazialità combinatoria delle sue forme e in quella della propria collocazione ambientale, la pittura a base di spazio frontale di Asdrubali si dischiude nei MALUMAZAC, 1989-90e nei MEGATUTTO, 1991 , in cui gesti e segni evidenziano un'oscillazione pendolare generatrice di asole e crune in cui talvolta s'annida la luce del giallo e del blu. Ma il passaggio al TROMBOLOIDE (1992-95) avviene con il processo di autonomizzazione del segno e dello spazio vuoto-pieno dalla superficie della tela e del telaio. I "tromboloidi" fluttuano liberamente concatenati sulle pareti, in sciami in cui si distingue la scherma del nero, del bianco e del segno deprivato quasi dal colore nero, che si fa orlo o aura interna al bianco. Essi hanno la proprietà di tramutare la pareti su cui vengono collocati in nuova spazialità amplificata: “Per questo dico – afferma Asdrubali – che la pittura inizia da quella parte della superficie non dipinta".

Nei cicli successivi, ZUSCANNE, 1996-98 e ZETRICO, 1997-98, la spazialità è ricondotta entro la superficie del quadro anche se, dietro ai segni che la determinano, un campo cromatico ancora tracciato con gestualità energica e veloce, nello sfondo monocromo, addiziona luce e scatto all'immagine. Sembra che Asdrubali cerchi una nuova dimensione complessa per le sue organicità spaziali. Il "tromboloide" segna la boa di svolta dell'azione di Asdrubali; dopo di esso, infatti, l'esorcista della "malattia sana", lo sciamano del MURO MAGICO (1978-79) torna all'iniziale caverna e integra quella primitiva spazialità introdotta con larghe impronte di colore mediante la sovrapposizione del "tromboloide", generando il TRITRATRONICO, 1996. L'allestimento di queste ultime opere a Palazzo Racani Arroni di Spoleto (1996) resta emblematico di quell'integrazione.

E infatti, espuntato da una nuova "vacuitas" e da una nuova "nigredo", il capitolo degli ZOIDI ha inizio proprio nel 2000 con il TETRAZOIDE. Assieme a una nuova dirompenza cromatico-luminosa, una nuova esplosione di energia genera una più radicale morfologia autonoma. ZOIDE, 2000-2001 si definisce ancora una volta in piena libertà e completezza organica fuori dalla forma quadro, oggettivamente fluttuante, come i "tromboloidi", sulla parete. L'intreccio segnico strutturato mediante fasci di segmenti cromatici che delimitano le zone di vuoto possiede andamenti aperti, inusuali ma già spuntati nei fondi rosso scarlatto dei TRITATRONICI e ancor più anticamente nell'ACIDAMENTE, 1980, successivo al MURO MAGICO, 1978-79.

E' proprio nelle ulteriori articolazioni dello ZOIDE, in quelle dell'AZOTA, 2003, e infine negli ZUNTA, 2004 - e siamo all'attualità - che si osserva una rotazione del gesto di Asdrubali tra i segni che rendono concrete queste ultime apparizioni di SPAZIO FRONTALE, componibili tra loro in sdoppiamenti simmetrici o in più complesse organizzazioni ambientali.Queste ultime generazioni di "immagini di senso" delle zone non dipinte, infatti, attraverso la testualità delle zone dipinte si dispongono come tessere musive a occupare interamente un ambiente, trasformando il quadro in un continuum non solo di decorazione totale delle superfici, ma soprattutto come spazialità in cui chiunque vi penetri ne resta completamente circondato. Dopo il CONCETTO SPAZIALE, AMBIENTE, (1949) di Fontana e dopo l'AMBIENTE BIANCO di Castellani (1967-1970), un'opera concepita a misura di spazio infinito sembra avere ritrovato la strada maestra per collocare di nuovo, come previsto da Boccioni, ma mediante un diverso lessico, lo spettatore al centro del suo illimite.

Bruno Corà